Mi interrogo sull’informazione che continuiamo a ricevere a spron battuto, martellante, quotidiana. Ho già scritto di infodemia (pericolosa per la psiche come la pandemia per il corpo) l’anno scorso, quando tutti sapevano i numeri relativi all’andamento del covid, tutti davano i numeri in un’ossessione di ascolto, tutti pontificavano con cifre alla mano.
Tutti nella bolla, cioè senza altre notizie se non quelle presentate dai vari consulenti, dai giornali, dalla tv.  Non uno sguardo nell’ Oltre, oltre il nostro confine sia mentale che geografico, solo qualche accenno che non ampliava la conoscenza ma aumentava il disagio, in quanto da epidemia diventa pandemia: becca proprio tutti questo virus! Consolante e terrificante insieme.
La presenza dilagante di esperti, scienziati, virologi, biologi, eruditi, studiosi, politologi, farcisce quasi ogni programma televisivo lasciando in alternativa film tipo “guardie e ladri” i cui sicuri tecnici americani risolvono problemi complessi ma sgarrupati carabinieri nostrani si perdono in facezie ed incapacità. Che contrasto: con sullo sfondo tali immagini, come italiani sorge il dubbio nell’affidarsi a chi sentenzia in tali modalità. 
La bolla è satura, non entra altro, il tutto rimbomba in un noise assillante che rischia di impedire il pensare con un pensiero in autonomia. Lo impediscono le tantissime interferenze che un po’ opprimono ed un po’ annoiano, con il conseguente allontanamento dalla polis, che rappresenta il mondo in cui si sta vivendo, dalla relazione, pur virtuale con l’altro, da narrazioni alternative che potrebbero permettere di vedere altre la siepe. 
C’è una dominanza mono-codice e, come espose una collega anni fa, come risuonano psiche e cultura non può essere trascurato, tanto più ora che le conoscenze neuroscientifiche ci dicono che la mente è carne ed il soggetto forma la propria mente plasticamente in una risonanza incarnata, modulata sensorialmente e affettivamente.
Un qualsiasi cambiamento è formato dentro e se il dentro è soffocato non si perviene ad elaborare altro. Sappiamo che i processi di mentalizzazione avvengono molto dopo, nel momento in cui il soggetto è in grado di concettualizzare, di riferirsi alle rappresentazioni dell’esperienza.
Ma quale esperienza è possibile se manca il corpo, se ogni sillaba risuona come persecutoria, se il processo che permette una formulazione rimbalza come respinto dal muro di gomma autoreferente.
Si diventa autoreferenti: non solo nei discorsi degli esperti dominati nella monocultura ma anche nel dire comune con i “penso che “senza argomentare, senza pervenire ad una elaborazione critica ed indipendente. 
Ritorna il mio invito a pensare, ad “alzare le sguardo come diritto di crescere” e qui consapevole cito l’ultimo scritto della Tamaro.

Monocultura, bolla, autoreferenza
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