Pieter Bruegel il Vecchio, Le scimmiette incatenate
La metafora della catena: le scimmiette si affacciano al mondo ma sono incatenate e simbolicamente impedite nel movimento, trattenute da pregiudizi, condizionamenti, vincoli consci ed inconsci.
Psicoanalisi e psicologia analitica
Parafrasando Freud potrei dire che se bastasse leggere di psicoanalisi per risolvere un problema psichico, sarebbe come pretendere di liberare dalla fame un affamato offrendogli un menu appetitoso.
La psicoanalisi è la disciplina fondata da Sigmund Freud.
A differenza dei metodi psicoterapeutici, la psicanalisi tende ad agire non sui soli sintomi ma sullo stesso processo morboso di natura psichica che si manifesta nei sintomi, al fine di chiarificarli e risolverli.
Per Freud psicoanalisi designa:
– un procedimento per l’indagine di processi mentali, inaccessibili par altre vie
– un metodo terapeutico per il trattamento di disturbi nevrotici e psicotici
– una serie di concezioni psicologiche acquisite che convergono in una nuova disciplina scientifica.
È una prassi terapeutica strutturata, si fonda sulla teoria dell’inconscio e la possibilità di guarigione è insita nella cura, in quanto permette di mettere in luce, di far rivivere e di elaborare i conflitti nascosti
L’ utilizzo dei sogni portati in analisi è considerata la “via regia” per l’accesso all’inconscio attraverso la loro interpretazione.
L’ interpretazione è al centro della dottrina e della tecnica freudiana: si potrebbe caratterizzare la psicanalisi come interpretazione, cioè il portare in evidenza un senso latente.
Non si può andare oltre Freud se non si passa attraverso Freud.
Psicologia Analitica o del profondo è la denominazione che Carl Gustav Jung assegna alla teoria psicologica che comporta un metodo terapeutico attento alle relazioni tra coscienza e inconscio, tra superficie e profondità.
“Quello che vi do non è né una dottrina né un insegnamento. E da quale pulpito potrei indottrinarvi? La mia via non è la vostra via, dunque non posso insegnarvi nulla. La via è in noi, ma non in dèi, né in dottrine, né in leggi. In noi è la via, la verità e la vita.
Guai a coloro che vivono seguendo dei modelli! La vita non è con loro. Se voi vivete seguendo un modello allora vivrete la vita del modello, ma chi dovrebbe vivere la vostra se non voi stessi?”
C. G. Jung, Libro Rosso.
Il metodo analitico junghiano non è di spiegazione, poiché non cerca i nessi logici e le connessioni causali come per una conoscenza certa degli oggetti e dei fenomeni che vediamo intorno nel mondo, non classifica i sintomi per arrivare ad una diagnosi.
Non è neppure una interpretazione, che sovente diventa una traduzione in ragionevoli e condivisibili parole il cui significato è un puzzle ricomposto.
È un ampliamento, come le variazioni su un tema musicale, agisce nelle stratificazioni di significati presenti nella psiche e raccontati attraverso la voce del paziente. Nel racconto coesistono chi parla e chi ascolta, si incontrano l’inconscio del paziente e quello dell’analista, e nel campo arato dall’analisi cresce un nuovo irripetibile mito, quello di quell’analisi, della comprensione e del Transfert – il più decisivo fenomeno del processo analitico ma il più imprevedibile e non spiegabile a priori – che avviene tra quelle persone, in quei tempi, in modo irripetibile.
Provocando posso dire che il transfert è come l’orgasmo: se non lo provi non puoi comprenderlo!
La funzione dell’analista non consiste nell’utilizzare una pratica ma nel porre attenzione alla storia di vita del paziente ed alle immagini raccontate, che hanno un intenso significato simbolico ed esprimono la pluralità delle figure archetipiche inconsce.
Ascolta le parole in modo profondo, attento ed empatico; ricerca il significato dei sintomi psicopatologici e la relazione tra i differenti componenti della psiche, utilizza un procedimento analitico scompositivo in vista di una nuova composizione.
Per Jung il disturbo psichico è un sintomo da comprendere, esprime la perdita di equilibrio ed il percorso terapeutico è un cammino verso la conoscenza di se stesso, il processo di individuazione.
Questo processo individuativo è il mythos del paziente, è il suo mitico personale racconto in cui è coinvolto a più livelli. L’aspetto di sé mostrato nelle relazioni sociali cioè la Persona; la parte più nascosta delle emozioni negative, quell’Ombra che si proietta sugli altri ed è la propria parte umbratile non riconosciuta; l’aspetto razionale dell’Io che si esprime attraverso le parole in cui affiora l’inconscio; i sogni elaborati con l’analista che ascolta i collegamenti emotivi e razionali che può fare il paziente e attraverso la circuambulazione si avvicina ad una comprensione condivisa del significato simbolico.
I contenuti del sogno non sono riconducibili ad una simbologia valida per tutti ed interpretabile dall’analista, si cerca di rilevarne il contesto attraverso le associazioni del paziente, per scoprire cosa è efficace in quella analisi; lo scopo è lasciar affiorare il nuovo e non cercare conferme, poiché non ci sono pregiudizi.
Da anni gli studi sottolineano come non si possa più dire anima e corpo, ma “corpo vivente”, che sta al mondo non come le cose del mondo; la psiche non è un insieme di processi neuronali né il corpo un insieme di cellule: psiche e soma sono un’unione indifferenziata. Un banale esempio: basta aver dolore per un piccolo callo per diventare nervosi…
La diagnosi, sia per la psicoanalisi che per la psicologia analitica, non si attiene strettamente ai quadri tipici del DSM e del PDM in quanto la ricerca si riferisce ai conflitti profondi della persona portati in analisi, non ad una tassonomia.