Il concetto di salute si oppone a quello di malattia e sono (concetti) polivalenti in quanto non suscettibili di validità assoluta, inoltre non sono inerenti solamente alla medicina e variano a seconda dell’interpretazione delle scienze umane e della filosofia poiché sono connessi a una visione ideologica del mondo.
Secondo il prof Cosmacini non è giusto identificare riduttivamente la salute come mancanza di malattia, ma neppure di trasformare l’idea della salute come pieno benessere, in un valore ideologico socialmente discriminante, basti pensare ai sentimenti di stress, ansia, frustrazione che questo concetto della salute ingenera in molti, agendo come modello normativo dell’esistere.
Il confine tra benessere e malattia diventa particolarmente enigmatico in relazione ai disturbi psichici, non per le patologie gravi ma per i disturbi nevrotici, come gli stati ansiosi o depressivi, le inibizioni sociali o sessuali, i disturbi alimentari o psicosomatici: quali elementi permettono di configurare un quadro patologico o sono attribuibili allo svolgimento di una normale vita quotidiana.
Definire la soglia tra una sofferenza psichica “normale” e patologica diventa difficile in quanto la capacità di tollerare ed elaborare il disagio psichico è una importante variabile soggettiva.
Inoltre la concezione biologica ha dato la priorità al corpo ed ha confinato la psiche nella condizione di un fenomeno privo di autonomia e di second’ordine, non riconoscendole altra realtà che quella di cosiddetto “epifenomeno”, considerando un arbitrio filosofico il presupposto che i fenomeni psichici siano condizionati dai processi somatici, e non si suppone a volte il contrario.
Lo spirito per Jung è l’opposto della pulsione, che è intesa come costrizione perentoria ad agire in un determinato modo; i due termini sono considerati in relazione complementare, di reciproco riconoscimento e di mutuo rinvio; la limitazione delle pulsioni avviene attraverso processi spirituali e si afferma nell’individuo in quanto il contenimento delle pulsioni è un processo normativo o, per meglio dire, nomotetico.
Per Freud i fenomeni psichici complessi come arte, filosofia, religione, spiritualità (anche se non lo specifica) diventano sospetti, come fossero nient’altro che il risultato di una rimozione sessuale, e si rischia di mostrare ogni fenomeno della cultura esclusivamente come sostituto di pulsioni insoddisfatte e prodotto da sublimazione.
Per Jung le espressioni intrinsecamente culturali sono la manifestazione della capacità simbolica dell’uomo che permette all’uomo stesso di trascendere, in vario modo, anche lo stesso impianto pulsionale per spostare il focus dell’osservazione, dagli stimoli del mondo esterno, alle risposte del mondo interno.
Tutti noi davanti alle più grandi manifestazioni dell’arte abbiamo sentito di essere trasportati al di fuori ed al di sopra di noi stessi, un’esperienza che tutti potremmo evocare come una sorta di innalzamento alla sfera del divino. Altro però è sentire confusamente la realtà di un mondo superiore che per qualche momento ci apre le porte, altro saper dare espressione compiuta a questa esperienza e tradurre questa presenza nella nostra vita.
Ricorda il sacer di Rudolf Otto, inteso come categoria interpretativa della religione nella sua autonomia, che trova la sua giustificazione di se stessa in se stessa e il numinoso, come assolutamente non razionale, che si manifesta nel tremendum per equilibrarsi nel fascinans creando una sorta di dipendenza psichica per l’impossibilità di razionalizzazione; ed è totalmente indipendente dai valori morali introdotti in seguito, con le opposizioni di bene-male e le nozioni di peccato e colpa.
La spiritualità non è spiritualismo, cioè è pratica della filosofia come analisi della coscienza, negazione della realtà del mondo esterno, difesa della tradizione e delle istituzioni che la sostengono.
La spiritualità non è neppure religione, cioè non offre all’uomo una garanzia soprannaturale per la sua salvezza né le tecniche per ottenerla e mantenerla, garantendo l’assolutezza del comando morale.
E non è misticismo, cioè una sorta di stato meta-razionale in cui la percezione del numinoso si manifesta in forme estatiche o sovrannaturali.
Non è neppure new-age, carezza all’anima pigra e sovente trasferimento di riti usuali in cerimonie più esotiche.
Non so cos’è. Un motus animae, un sentire di trascendenza, l’andare oltre il limen, l’oltrepassamento di Heidegger come modo in cui l’uomo si riconosce come se stesso e significa l’essere nel mondo.
Mi sono interrogata, anni fa, e con un gruppetto di colleghi ci incontriamo – peraltro con poca regolarità – per elaborare il tema “psicanalisi e spiritualità”, in risposta ad una esigenza sia personale – per ampliare il concetto di benessere oltre la fisicità e l’accettazione – sia derivante da richieste di pazienti che chiedono, terminata l’analisi, un ampliare, estendere, avere qualcosa, andare oltre al superamento del disagio che ha indotto un percorso psicanalitico.
Per questo sono molto contenta di esser qui stasera: per confrontarmi con voi tutti.
Parto dal concetto di benessere oltre la fisicità e l’accettazione.
Una cenestesi positiva, che percepisce le sensazioni coscienti e non coscienti del proprio corpo nelle loro interazioni con l’ambito emotivo, per osservare le risposte del mondo interno agli stimoli del mondo esterno.
Freud “inventa “la psicanalisi osservando il proprio mondo interiore e quello dei suoi pazienti, sviluppa la relazione analista-paziente in modo orizzontale sul piano clinico e terapeutico, ed affronta un viaggio nello spazio istintuale della persona, avendo compreso una verticalità nel profondo.
Ma considera come una costruzione transferale, basata sulla credulità di molti, l’eccezionalità di una figura con carica “spirituale”, a differenza di Jung che sviluppando la sua indagine ancora in verticale, cerca la componente archetipica – quasi un “a priori” della coscienza – e divina della psicologia del profondo, e parla di mana.
Mana è simbolo allo stato puro, sfugge alla relazione significante-significato: l’eccedenza semantica permette la formazione del pensiero simbolico, attraverso il quale è possibile tradurre la libido in altre forme, trasformandone l’energia in modo teleologico, per una migliore organizzazione della personalità. Una sorta di élan vitale di Bergson.
Questa trasformazione porta al lungo processo di individuazione che rende cosciente l’individualità, l’opus il cui fine occupa tutta la vita. La migliore organizzazione non è un termine assoluto né uguale per tutti, è un ideale irraggiungibile “ma il fatto di essere irraggiungibile non toglie validità all’ideale, perché gli ideali non sono mai la meta, ma solo dei segna-via” per il percorso.
È il percorso psicanalitico: l’analista lavora col simbolo, il segno che può individuare ed interpretare sia a livello individuale – attraverso le immagini psichiche base di qualsiasi forma di coscienza – che culturale, con l’attenzione ai miti, alla religione, al linguaggio.
La tecnica esplorativa analitica diventa un trattamento terapeutico che non ha una procedura rigidamente prestabilita, ma è fatta di progressive tappe di approfondimento ed elaborazione, in quanto non si limita più solamente alla cura del sintomo ma tende alla migliore organizzazione della struttura della personalità.
La guarigione – se di guarigione si può parlare – avviene attraverso la comprensione che sorge dall’interno per adattamento, per difetto, oppure come crescita, e comporta il considerare il personale passaggio continuo tra diverse situazioni psicologiche nel loro cambiamento di stato, il loro catastrofismo, da catastrofeo.
Ma, dice Eraclito, per quanto tu cammini e anche percorrendo ogni strada, non potrai raggiungere i confini dell’anima, tanto profonda è la sua vera essenza.
Cosa è l’Anima: soffio, entità opposta al corpo, sostanza con funzione intellettuale; si dipana in tutta la storia della filosofia. Jung la intende come interiorità dell’uomo diversa da “persona”, la maschera sociale.
Gli equivoci dell’anima, titola Galimberti: i confini dell’anima non possono essere raggiunti perché l’anima è la stessa apertura all’universo di senso, dove ha luogo una circolazione infinita di significati, non apre le porte all’arbitrario e all’insignificante ma a tutti i giochi possibili che restano custoditi nell’anima come sua possibilità.
Uno dei giochi possibili è esplorare il mito, grande rilevatore dell’incontro dell’uomo con il divino, la trascendenza e la spiritualità: “simbolo di ciò che è eterno ed indicazione verso l’assoluto” (Tillich), “forza culturale che si rigenera sempre” (Malinowski), archetipico, “ierofania che possiede ad un tempo il carattere di evento storico e di modello esemplare” (Eliade), numinoso (Otto), parola e progetto non logos, “ampliamento di coscienza” (Kereniy), filogenesi che precorre l’ontogenesi in modo archetipale.
Un altro è l’esercizio della meditazione, passata in disuso nell’Europa del post Giustiniano, per apprendere ad aumentare la concentrazione su di un punto qualunque dello spazio o del proprio corpo e successivamente progressivamente ascoltare il respiro, fare immagini mentali, utilizzando testi di culture diverse dalla nostra che hanno conservato questo sapere.
L’oltrepassamanto come ricerca di senso: nella raggiunta salute, come in una scala di Maslow, lo stato di benessere permette di volgere l’attenzione all’uber, di approfondire utilizzando i due vertici della verticalità, di non disperdere e neppure di cercare una compensazione alla mancanza, legata al desiderio di una soluzione, in una attesa passiva rispetto l’agire della persona.
Jung propone la immaginazione attiva, che non è meditazione che interrompe il pensiero, ma ascolto di immagini, emozioni, sensazioni che affiorano alla coscienza liberamente, nella ricerca ardua di integrazione tra conscio e inconscio.
Ciò che intendo dire è che una ricerca di spiritualità non sia legata alla mancanza ed al desiderio di una soluzione, nell’attesa passiva rispetto all’agire della persona.
Psicanalisi e spiritualità sono piani distinti ma tangenti: l’ascolto profondo dell’analista nello studio permette al paziente di costruire la sua visione del mondo, descriverla, ascoltarsi, comprenderla, non solo accettarla. Si impara a progettare per sé, sciolto dall’assalto incontrollabile delle coazioni, scopre la profondità della sua psiche (o anima), ritrova sentimenti persi, si svincola da tanti lacci ed a volte il processo di individuazione è così evidente che sembra liberato, sbocciato, curioso e libero di assumere altro, avendo fatto posto per nuove esperienze. Ecco la richiesta di andar oltre, dalla profondità dell’anima – analiticamente fatta di introspezione non narcisistica, di ricerca nella propria interiorità con capacità di auto-osservazione – al cielo stellato. Una richiesta non di tutti ma abbastanza da interrogarci per esplorare una via antica e nuova, nella ricerca continua di un Uber del benessere psico-fisico. Riconoscere Maya nell’informazione, quando i pensieri, dice Baudrillard, sono attualizzati prima ancora di essere pensati, e non si è più in grado di agire ma solamente di re-agire, con una reazione riflessa, una risposta automatica.