La poesia è per definizione la creazione, il poièo, il fare come forma d’arte; l’andamento ritmico connette significato e suono, coglie il respiro dell’autore, ne riverbera l’anima irradiando la pagina. 

Se si vuole dare credito alla affermazione di Freud, secondo cui il poeta ed il medico lavorano sostanzialmente sullo stesso oggetto con la differenza che il primo esperimenta in sé ciò che il secondo apprende da altri, possiamo affidarci alla testimonianza dei poeti per iniziare a parlarne. 

Euriclea riconosce Odisseo: lo shock affettivo, che esplode per l’irrompere violento di una circostanza straordinaria, talmente intensa da rendere difficoltoso l’adattamento, si sviluppa in shock emotivo, nella vastità di un dolore o nell’immensità di una gioia.  La ferita riconosciuta manifesta l’identità, ne individua la persona.

Omero, Odissea, VI
Ti laverò dunque i piedi per riguardo a Penelope 
e a te, perché il mio animo, dentro, è mosso
da compassione…
Lavava il padrone accostandosi e riconobbe all’istante
la ferita che gli inferse il cinghiale col bianco dente…
Questa ferita la vecchia toccò con le palme
e al tatto la riconobbe: abbandonò il piede.
Piombò nel bacile la gamba, risuonò il bronzo,
s’inchinò dalla parte opposta, l’acqua si versò a terra.
Goia e dolore a un tempo le colsero al cuore, le si empirono
gli occhi di lagrime, le si arrestò la voce fiorente.

Come afferma  Volli, la parola “riconoscere” ha più significati: l’atto di riconoscere, il fatto del riconosce e l’essere riconosciuti. Significa l’identificazione come per Ulisse, che è riconosciuto: l’idem, il pronome dimostrativo per eccellenza, diventa un ipse quando si riconosce la persona, individuandola.
La centralità del riconoscimento sta nel rifiuto dell’uomo universale e generico, nell’essere l’Altro dell’Altro e questo rispecchiamento è la condizione essenziale del riconoscimento, si esce dalla universalità indifferenziata attraverso l’anagnorosis.  
Il Poeta “si” racconta e “si” ripercorre, attraverso una sorta di autoanalisi la sua storia è narrata per emozioni, sentimenti, raccordi. Apre la porta sull’anima, attraverso la parola ed attraverso il silenzio raccorda una Poesia all’altra. Emergono delle possibilità nascoste, significa essere depositari di senso ed attribuire un senso in più, come in una lettura psicoanalitica. 

Alda Merini
Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Poesia come autoanalisi quando si percorrono le scale dell’anima come in quell’infinito gioco prospettico dipinto da Escher, quando si aprono le porte dei ricordi in una sorta di percorso in cui l’iniziazione è data dalla poesia, che fa da battistrada e srotola il gomitolo della memoria riaffiorata, dipanandolo attraverso i molteplici colori.
Poesia come epifania della autocoscienza, raccontata agli altri, portata agli altri, nel continuo cercare e raffinarsi.
L’azione, il poieo, creduto libero e ragionato, è sotteso da potenti armature inconsce che inducono al percorso, scompare la marionetta del fare e far fare ed appare la Poesia come sua specialissima forma.
Allora nella descrizione di presagi emozionali traspare il perturbante percorso psicanalitico: tra il Poeta e la sua Poesia c’è la compartecipazione come nel contratto analitico. 

Pensare i pensieri: suggestioni accomunate. 

La relazione analitica è lo spazio mentale in cui possono trovare accoglimento e soggiorno quegli elementi emotivi non pensati e non ancora compresi, in cui può essere reintegrata quella parte di sé perturbante che è rimasta estranea al filo narrativo della propria esistenza. 
L’essenza del perturbante non è l’incertezza intellettuale, pur nella sospensione fra ciò che è famigliare ed estraneo, svelato e nel contempo nascosto come la logica fuzzy, bensì il rimosso che ritorna, indipendentemente dal fatto che in origine il rimosso abbia suscitato angoscia oppure un altro sentimento. 
Unheimlich è (anche) ciò che un giorno è stato heimlich, intimo, famigliare: l’estraneità ed insieme la familiarità nel confrontarsi nel proprio riflesso, l’alternanza tra adesione e distanza, tra fusionalità ed individuazione: Wonderland, Alice allo specchio. 
Il prefisso un di Unheimlich può diventare il segno della rimozione, una rottura di senso, e germinare da difese narcisistiche contro delle “intenzioni ” legate a processi elaborativi, anche individuativi.
Riconoscersi è un ritrovarsi ed apre al problema dell’identità.
L’identità si rivela nella rifrazione identico/diverso, nel rapporto tra Io-Me che è anche Io-Altro, un Altro diverso pure in funzione di ciò che è comune: ecco la vertigine, una intensa esperienza numinosa, il senso non svelato. 
Vertigine e abisso è nell’altalena dell’esistere, nella scansione di Mondo- Tempo-Eternità nella Daseins Analyse di Binswanger, per cui l’uomo raggiunge l’autenticità nel riconoscersi, nell’esistenza che conduce, nello esser-ci per l’Altro, affrontando le figure fuggitive e arcane, camaleontiche e crepuscolari, nelle quali si riflette come in uno specchio con l’ansia a volte abissale che accompagna l’esistere, racconta Borgna. L’abisso è vertiginoso, è il Tartaro oltre lo Stige, luogo di tormento e sofferenza, prigione dei Titani, i pròteroi divini, gli dèi primigeni, forze primordiali del cosmo e riconducibili alla profondità della psiche.
Il riconoscimento è una trasformazione, la metabolè  dalla non-conoscenza alla conoscenza, in direzione della philìa oppure dell’inimicizia: il riconoscimento più importante e potente si ha quando accade insieme ad un capovolgimento, il catastrofeo, come nella tragicità dell’Edipo Re, afferma Aristotele nella Poetica, e prosegue, poiché il passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza, dal riconoscendo al riconoscendo-si, avviene per segni, per memoria o sillogismo, per paralogismo: come per Edipo, Elettra, Odisseo, Euriclea.
Per Bion la psicoanalisi è una sonda che espande lo spazio che esplora, per Eco l’interpretazione è il mettersi in rapporto con il testo, l’intentio operis, non nel senso ingenuo dell’interpretazione aliquid pro aliquo, bensì nel senso di “strumento per dischiudere quelle porzioni di significazione che sono “zippate” all’interno dell’inconscio”.
La parola è regina nella poesia e nella psicoanalisi, la parola racconta la vita e la rende abitabile nella impossibilità e nell’esilio che traspare nel racconto poetico come in quello analitico. Sorelle nel linguaggio, convocano le parole e le trasmettono a chi sa ascoltare: il lettore innamorato della poesia e l’analista nel campo transferale, per entrambi l’inconscio la fa da padrone.
Suggerisco un’immagine, uno dei tanti Leda e il cigno dipinti da Cy Twombly: il riconoscimento delle essenze. Vedo il cigno? Conosco il cigno? Vedo l’essenza del cigno? Gestalt e filosofia, anagnorisis, l’improvviso e inaspettato riconoscimento dell’identità di un…? un quale?… Si apre all’interpretazione e alla ricerca.

Riconoscersi, essere riconosciuti
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