26 maggio
DALLA SEDUTA ALLA VIDEOCHIAMATA
CAMBIAMENTO DI SETTING: UN TERTIUM DA GIOCO DEGLI SCACCHI?
Stiamo vivendo una ambivalenza nei riguardi della tecnica e della mediatizzazione: un senso di delirio di onnipotenza e un’ossessione contraria, di poter perdere l’Anima: allora riflettiamo su ciò che eventualmente perdiamo, ma anche su ciò che acquistiamo.
Non si può rifiutare la tecnica, Il nostro è un universo permeato di tecnica ricorda Heidegger, ma si può imparare a guardare Oltre per ricuperare nella tecnologia quegli elementi che estendono la nostra capacità intellettiva senza disumanizzarci.
Nella nostra società avanzata gli individui sono separati organicamente e fisicamente tra di loro, ci sono luoghi sociali che chiudono l’uomo in ambienti algidi con ridotte possibilità di rapporto e comunicazione. Non solamente nella solitudine con il video ma anche nei paesaggi metropolitani, quelli che Marc Augé chiama i non luoghi della modernità (aeroporti, hotel, autostrade, stazioni…) in cui manca l’interazione uomo/ambiente, cioè il contesto, e l’uomo è deprivato della sua memoria perché in quei luoghi c’è solo il passaggio, è transeunte (penso ad un paziente in videochiamata dall’aeroporto, molto distratto, come stordito, immemore…).
Allora lo smarrimento del non vedere più Il Campanile di Marcellinara, raccontato da De Martino: non è superato lo spaesamento, è perturbate, unheinlich.
All’interno di qualsiasi situazione comunicativa c’è l’aspetto dell’elaborazione personale, soggettiva, razionale che ciascuno attua, associata all’aspetto inconsapevole di questa elaborazione, una sfera indicibile, rispetto alla quale hanno significato le nostre formulazioni che superano il principio di non contraddizione e aprono al tertium.
Come per esempio nel gioco degli scacchi: non si gioca mai in due, ma sempre in tre, perché oltre ai due giocatori esiste sempre un tertium, le regole del gioco, applicate dalla strategia/elaborazione dei giocatori: un contesto comunicativo diventa un campo di elaborazione, che va dissodato attraverso approssimazioni successive.
Il cambiamento del setting non è un prodotto finale, ma qualcosa che si verifica continuamente, anche in studio, comporta un deutero-apprendimento, ma significa anche un rischio di rottura del legame, quella struttura complessa che include emittente, ricevente, canale, segni, simboli. E le persone.
La comunicazione all’interno di un mondo condiviso è possibile se c’è un movimento interpretativo triangolare tra individuo, altro e mondo condiviso, e se c’è il principio di carità, cioè il principio di massimizzazione del consenso tra interprete ed interpretato, come un win-win, racconta Donald Davidson, altrimenti non sarebbe possibile alcuna comunicazione né di pensiero né di oggettività.
Allora quale è il mondo condivisibile che caratterizza la differenza tra la seduta e la video chiamata?
Abbiamo già parlato della cronofagia, del viso in primo piano, del corpo diverso, della mancanza di tragitto per arrivare da/ giungere a, dell’aver azzerato la distanza che ha aiutato da distante ma non avere distanza fa riapparire Il corpo, non solo l’anatomico Korper, anche il Leib, il corpo vivente, del vedersi e non solo dell’essere visti, dell’accentuata rottura del rapporto tra riposo e lavoro, del rischio burn-out…
La disposizione mentale come spazio psicologico, il contenitore, si costruisce con proposta, regole, comportamenti condivisi, è il “significante strutturale”, riguarda i rapporti di base e l’immagine/rappresentazione portata. Tutto normale anche da remoto. Ma ci sono i noises.
Il contenitore da remoto non è rigoroso come la stanza dell’analisi, tuttavia continua ad organizzarsi intorno ad un sapere bouche-oreille, in cui la trasmissione orale è allusione non solo espressione; la scienza delle tracce (come scrive Vegetti Finzi) comporta anche l’intendimento delle interferenze, che qui sono ancor più pregnanti nello scambio di parole e di affetti.
Tra individuo, altro e mondo condiviso cosa si affaccia online?
Il tertium, quelle regole del gioco applicate nella strategia e nelle elaborazioni dei giocatori: si mettono in gioco non solo per tecnica ed abilità argomentativa, ma anche le intenzioni, l’affettività, i sentimenti e le emozioni che si stanno perdendo in un linguaggio sempre più a sigle, astratto, impersonale, un dire che potrebbe dare inizio a molti turbamenti esistenziali e psichici. (Sto pensando agli emoticons e si perdono le parole)
L’utile dell’online espone la relazione terapeutica ad un rischio: che la cosiddetta realtà virtuale non sia più veramente virtuale e si arrivi a definire il mondo virtuale come l’unica realtà, un po’ allucinatoria, con la quale si dovrà fare i conti.
Riprendo ancora Davidson, quando propone di praticare le metafore vive per avviare codici simbolici diversi, alternativi, tali da permettere all’individuo, che attraversa vari livelli di realtà, di sperimentarli, quei diversi livelli di realtà.
La metafora viva e sublime di Musil: “Una sera morbida come una soffice coperta di lana”.
Nell’immagine: Caravaggio, Giocatori di scacchi