Un approccio emancipato

La “donno” e il “mammo”: non voglio né l’una né l’altro. Voglio una donna completa e non camuffata, un uomo intero e non vezzeggiante.

Voglio un approccio non stereotipale ma emancipato, che non si omologhi alle supposte attese altrui.

Apprezzo un uomo che esprima una mascolinità sensuale e non ridotta al sessuale, che sia autentico, senza la competitività furente e l’arrivismo colmo di prepotenza e privo di emozione. Un uomo integro che non tema la tenerezza, sia sensibile ma non lisciante, affascinante ma non adulante.  Insomma: che sappia esprimere le emozioni senza averne timore. Rida e pianga, gioisca di un tramonto senza fare il raziocinante e descriverlo come un insieme di molecole, che non solo giochi con i figli (facile e divertente, più crescono più ci si diverte poi da adolescenti un po’ meno…) ma si alzi di notte e cambi i “puzzoni”.
Entrambi si lavora, entrambi condividono la casa, entrambi erano insieme nel concepire un figlio, entrambi li accudiscano….

Apprezzo una donna che non si esprima con mossette ed allusioni, che parli e non solo faccia intendere, che non usi la femminilità come seduzione ma come charme femminile, che non si travesta mascherandosi da maschio nel linguaggio e/o nell’abito. Ci si può muovere nel mondo del lavoro senza abdicare al proprio essere donne, si può essere madri e manager ed essere riconosciute in entrambi i forti ruoli. 

Vorrei una donna che non rinuncia alla carriera per ridursi alla sola abnegazione della maternità e parlare di pappa-pipì-pupù, che non limiti il suo conoscere alla televisione o ai social, altrimenti non è mediatore di cultura per i suoi figli, anzi, ricade nello stereotipo femminuccia-di-rosa-vestita.   

Vorrei una donna che con orgoglio e piacere sappia far valere il proprio sapere, che senza prevaricazione intenda la solidarietà femminile, che sappia vivere in pienezza la emozioni della vita senza scivolare nel sentimentalismo o nell’aborrito buonismo.

La ricetta della affermazione, sia professionale che personale, deve tener conto dei barbari interni che provocano i paradossi autolesionisti del narcisismo patologico descritti dalla psicoanalisi. I Barbari compiono scorribande per tastare la vulnerabilità del territorio per poi invadere, insediarsi e dominare. Sono Interni, ancor più difficili da combattere perché non si palesano, agiscono nell’ombra, sono parte della nostra Ombra.

Conosciamo il narcisista: desidera l’ammirazione, ha un alto senso di sé, ha delle grandiose immaginazioni di successo, si crede unico e straordinario, è presuntuoso ed egoista, vanesio, non sa cogliere le necessità altrui ma sa abilmente sfruttare gli altri, non conosce l’empatia e tende a prevaricare, sa di essere invidiato ed è altezzoso ma teme inconsciamente gli altri e diventa arrogante, non accetta alcuna critica e se ha sbagliato è per colpa degli altri, il suo Ego è smisurato. 
Tende a dominare la scena esibendosi nell’essere e nell’avere, vive costantemente accerchiato da “gli altri”.

Esiste anche un narcisista negativo: tutto sembra complottare contro, si sente vittima in ogni circostanza nonostante dica di aver profuso abnegazione ed  impegno, si sente umiliato e vulnerabile quindi rifiutato,  non sembra volersi  mostrare o farsi notare in pubblico se non ha la claque, afferma di non sapersi far valere e  si sente  vittima del mondo intero,  fa così tanta fatica ad affrontare le mille incombenze quotidiane che sono buttate addosso, non sa rifiutare una richiesta perché sa di essere buono e tutti ne approfittano, soprattutto difende con rabbia il primato di vittima. 
Tende a dominare la scena esibendosi nella sensibilità e nella mancanza, vuole essere considerato come unico martire.
È possibile riconoscere un uomo o una donna in entrambe le descrizioni, ma la storia tende a identificare nel narcisismo negativo più donne che uomini. 

Allora interroghiamoci, noi donne. Sarà più facile piagnucolare che affrontare e risolvere? Da dove proviene questo nihilismo che svaluta i valori, elimina ogni scopo e non sa dare risposte?

Ricorda il nihilismo passivo che Nietzsche correla alla morale del risentimento, è un NO alla vita, comporta un lasciarsi infiacchire consentendo l’alterazione e quindi la dimenticanza del proprio senso dell’essere, come scrive Severino che definisce il nihilismo come l’ospite più inquietante dell’Occidente.

Ma esiste anche un nihilismo attivo che tende ad annullare valori e tradizioni in nome di altri, sempre nuovi, che continuamente cercano di sostituire i precedenti in un’esaltazione di potenza.  L’azione del Superuomo, l’Oltreuomo come dice Vattimo, libero di sollevarsi su tutto e vivere in piena arrogante libertà.

Ancora le due facce del narcisismo? Pur di essere notati si diventa o arroganti o pietisti?

In questa miscela esplosiva aggiungo due elementi squisitamente femminili: il perfezionismo e l’ancillità.

Ne siamo schiave. Per il perfezionista nulla è mai compiuto, nulla è finito, pronto: manca sempre qualcosa. Anche quando si ricevono dei complimenti per una relazione, un seminario, un libro, perfino una pietanza, il commento di risposta sovente è un “sì… ma, però, avrei, mancherebbe” che denuncia una insicurezza che non ha ragione di sussistere.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     
Il rischio dell’incompetenza è preso sul serio dalle donne, scrive Murgia in “Stai zitta” e cita l’effetto Dunning-Kruger, che descrive gli incompetenti inconsapevoli di esserselo.  

In Wikipedia si legge: l’effetto Dunning-Kruger è una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità auto-valutandosi esperti a torto, mentre al contrario persone davvero competenti hanno la tendenza a sottostimare la propria reale competenza. Un grafico mette in relazione la conoscenza percepita con l’esperienza effettiva: è la presunzione di sapere o l’audacia dell’ignoranza.

In ambiti professionali difficilmente noi donne abbiamo questo ardire. Il perfezionismo induce a rifiutare qualsiasi imperfezione (e nel campo della estetica del corpo purtroppo si posseggono terribili esempi), non è il perfettismo filosofico della perseveranza morale, ma induce noi donne a comunicare solo se sicure, con gli inviolabili testi in mano, con i riferimenti tracciati, con la ricerca della miglioria anche a costo di non essere mai pronte a esporsi con interventi già eccezionali.

Sovente si tace prevaricate da voci più forti e si sottostà in forma ancillare: la storia sociale ci ha poste in questa posizione, per cui si lascia il campo, non ci si impone pur avendo idee, pensieri, immaginazione e concretezza.   

L’ancillità ci pone in posizione ausiliare e subordinata, in sostegno di altri. Diventa l’omologazione ad una monocultura ancora imperante in tanti, troppi ambiti del sapere. 
L’ancillità è espressa nel chiamare una Signora Ministro per nome e non col titolo: ricordate Hillary? Una carriera professionale eccellente: segretario di stato, senatrice, avvocato, docente universitario, rettrice universitaria, ha ottenuto più voti popolari di Obama ma la si nomina così, Hillary. Come l’ancella domestica, come la baby-sitter… 

Auspico un approccio emancipato: per gli uomini sia un lasciar spazio alla voce competente femminile, per le donne sia un prendersi lo spazio con il prestigio della competenza. 

Nell’immagine: Giorgio de chirico, Ettore e Andromaca (particolare)

Non un solo giorno, ma tutti i giorni (3ᵃ parte)
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