Un tempo sospeso tra un ieri che abbiamo vissuto e un domani che non riusciamo ancora ad immaginare.
Silenzio nei cortili e nelle strade, silenzio nelle case quando si abita da soli, solitudine e ricchezza di ascolto profondo, di ascolto dell’Anima.
Ho scritto e letto molto, con il tempo dilatato per i minori impegni.
Tra le varie letture, mi sono sofferta su di un pezzo di frase – tratta da Psicologia ed Alchimia, un testo fondamentale di Jung – che recita: Il diluvio che gli dei scatenarono sull’umanità inospitale, si riferisce alla Bibbia ed al Zarathustra ma è riportabile all’oggi.
C’è tutto ciò che stiamo vivendo, dalla pandemia all’ecosistema compromesso, alla perdita di spiritualità. Abbiamo pensato di poter risolvere tutto con la scienza e la tecnica ma sono come ipnotizzate da se stesse e non intendono riflessione. A ciò aggiungiamo l’economia, il Pil, la politica ondivaga e nello steso tempo arrogante, l’imprecisione dei tecnici.
Poveri i tecnici, i virologi, che non sanno dire “non so, è tutto nuovo” e propongono soluzioni analogiche perché, non conoscendo, ovviamente si rifanno a ciò che è avvenuto prima per estenderlo al dopo.
Come se la ricerca di capire e poi di sapere fosse imprescindibile: ma non possiamo ancora non sapere?
Rumpite libros ne corda vestra rumpantur. Troppa scienza e poco cuore…
Stiamo vivendo una assoluta novità su cui pesa il disinteresse della ricerca scientifica sul vecchio Sars – che è un Cov, cioè della stessa famiglia del Covid-19 che imperversa – ricerca lasciata cadere per questioni economiche: che se ne fa di un farmaco se non si può vendere subito? Costa inutilmente.
Ma la ricerca è tale quando è sciolta da condizionamenti legati all’utile, in quanto finalizzata ad un benessere successivo. Quello dell’umanità, appunto.
Sembra ci sia un conflitto tra due doveri incompatibili, la coscienza individuale versus l’adesione ad un comportamento socialmente accettato; la coscienza invita alla ricerca, ma domina ciò che è socialmente accettato, che diventa l’economicamente accettato.
Se fosse riconosciuta l’importanza, l’individualità morale potrebbe portare ad un’attività etica, un impegnativo ed alto momento umano.
Sono convinta che una minore consapevolezza come singolo rischia di portare una minore compostezza nel gruppo: se non c’è coscienza, se ciascuno abdica a se stesso, l’insieme dei singoli, cioè il gruppo, sbigottisce.
Abbiamo assistito ad un delirio della coscienza collettiva, in queste situazioni di gravissima emergenza.
Ho riletto La peste di Camus ed ho trovato la consapevolezza del singolo nel dr Rieux, il dipendente comunale Grand, il superamento dell’egoismo di Rambert, la generosità dell’amicizia con Tarrou, l’impegno senza limiti per la ricerca del siero di Castel: i tipi umani. L’individualità di ciascuno è incarnata nel romanzo.
Non conoscevo Cecità di Saramago. Leggo divorando, con angoscia crescente, una scrittura che arriva diritta all’anima. Mi ha ricordato l’Ulisse di Joyce che non riuscivo a leggere sino a che non mi sono lasciata trasportare dal suo ritmo. Non ci sono dialoghi, non ci sono nomi propri, il racconto si snoda senza spaziature narrando di cittadini divenuti progressivamente ciechi, nessuno più vede.
Intensamente narra la segregazione, la mancanza di solidarietà, il deterioramento, la prevaricazione dell’arroganza; l’unica luce di coscienza dalla donna non cieca ma che si finge tale per amore.
Entrambi i libri sottolineano un elemento che ci riporta all’oggi: Covid-19 ha elevato la morte alla ribalta, nella coscienza di una società che la nega.
Poi tutti hanno scoperto l’informatica, anche gli antichi critici, e ci siamo scatenati!
Ho condiviso pensieri in Zoom con colleghi, fatto aperiskype con gli amici, rioccupato il tempo con piacevolezze; una vita di gruppo senza percezioni, senza profumi, senza tatto, solo la vista ci ha guidati… e ci manca l’abbraccio. Un saluto al gruppo, che non è massa….