L’ abisso come profondità e come differenza. Baratro senza fondo in quanto a- bissos, distanza forse incolmabile tra persone, l’abisso l’insondabile tra di noi, l’infinito abisso dell’anima; e l’archè senza fine del mondo creato, l’apeiron generatore del cosmos, a coppie di contrari; e il Tartaro oltre lo Stige, luogo di tormento e sofferenza, prigione dei Titani.

All’interno dei Chorten tibetani, come degli Stupa indiani, un palo verticale e riccamente scolpito rappresenta lo spirito vitale, evoca il pneuma, è considerato l’espressione fisica della mente illuminata degli esseri viventi.
Come a simbolizzare la negatività di una visone monoculare per affacciarsi alla visione binoculare di Bion.

E’ come una lancia che comporta un simbolismo assiale. Nella cultura classica la lancia è il segno rappresentativo del guerriero, l’attributo di Achille e Athena, significa la forza e l’autorità, protegge i contratti. Nelle leggende collegate al Graal, le gocce di sangue che scorrono dalla lancia con cui Longino trafigge il costato di Cristo hanno la virtù di guarire. È salvifica anche la punta stessa della lancia, virtù condivisa in quella di Achille che al secondo colpo risana la ferita. Nella tradizione celtica la lancia del folgorante Lug è di fuoco ed il suo colpo è inesorabile.

La lancia, e ciò che ne proviene dalla sua funzione, rappresenta l’azione dell’ essenza sulla sostanza indifferenziata, perciò non può non raggiungere sempre il bersaglio; è anche la capacità di penetrazione e di conquista, inesorabilmente conficcata, la cui ferita può essere salvifica.

Ancora il mito: è carico di sacralità e lo studio comparato dei differenti miti, nelle culture e nelle religioni, consente di ritrovare quelle convergenze tematiche e quei motivi ricorrenti che permettono di comprendere quanto l’inconscio circoscrive e caratterizza simbolicamente come nucleo di significato comune, collettivo. Riprendere Esiodo o Omero o Artemidoro o Virgilio può guidare alla riscoperta di un universo simbolico, sacrale, perciò perpetuamente presente per ognuno. Il mito è una delle principali chiavi per la porta dell’eterno presente, il kairòs, il tempo-senza- tempo, il qui-ed-ora.

Riscoprire il mito significa riscoprire qualcosa che vada oltre al silenzio e che non sia assolutamente ancorabile ad un qualche sistema di pensiero: il mito non appartiene per sua stessa essenza al tempo, non è assorbito dalla logica entropica generale.

Come gli archetipi: non solo elemento originario del reale ma anche inconscio collettivo, indipendente dalla esperienza di ciascuno, filogenetici non ontogenetici e, come ricorda l’immagine offerta da Jung, di un carattere arcaico come uno status che precede l’idea.

“Sotto la nozione di archetipi, che discende fondamentalmente dalla teorizzazione degli invarianti dell’immaginazione inconscia collettiva, si radunano le riflessioni che hanno condotto alle ricerche su quei simbolismi che costituiscono il patrimonio storico-culturale di comunità più o meno ampie. Questa nozione indica il fatto che l’inconscio si trova rispetto alle rappresentazioni della coscienza in una relazione intrinseca ed essenziale, sicché viene ad essere inteso come causa o condizione necessaria delle rappresentazioni della coscienza individuale e collettiva.” (Pieri P.F., Dizionario Junghiano, Torino, Boringhieri 1998)

La costruzione di una identificazione passa attraverso l’appercezione degli archetipi, per fondare sugli archetipi l’identità comune: poiché sono gli individui che formano la collettività, è attraverso l’autòs che si scopre l’idem, attraverso il sé si coglie l’uguale e si riconosce l’altro da sé come simile.

Senza l’Io non c’è un Tu.
Simile ad un percorso terapeutico in cui si ricerca la riduzione della sofferenza psicologica, i significati dei sintomi, le relazioni tra i componenti della psiche. L’amplificazione e la scomposizione di un lavoro di analisi; poi l’integrazione con un procedimento sintetico sino ad una espressione generale e comprensibile: così attraverso il riconoscerli c’è il riconoscersi.

Riprendo l’ermeneutica, che consiste nell’accostare altre analogie a quelle presentate dal simbolo, fa sì che il simbolo iniziale venga arricchito finché ne risulti un quadro poliedrico e complesso, e si originino determinate linee di sviluppo, individuali e collettive.

Per Gadamer l’ermeneutica contemporanea si configura come il metodo per il quale ogni aspetto della realtà presente e passata è interpretabile, a partire dalla conoscenza del suo carattere storico, legato ad una particolare tradizione culturale. La verità non è quindi qualcosa che rimane al di sopra di ogni cosa, stabile e immutabile indipendentemente dalle epoche e dalle diverse società, ma è il senso che può via via rivestire la realtà entro i cammini mutevoli e soggettivi dati dall’interpretazione degli eventi, pertanto caricandoli di significati simbolici.

Quindi il simbolo: ha una funzione formativa e trasformativa, è il sun-ballei, il mettere insieme le due parti del coccio, coglie la possibilità sostitutiva e nello stesso momento la possibilità trasformativa che un concetto rivela in un contesto. Il simbolo diventa il significante del segno.

Riprendo il mito di Europa: nutrimenti diversi, connessioni simili, simbolicamente legate. La principessa sta cogliendo dei fiori in riva al mare quando Zeus se ne innamora guardandola, si tramuta in un candido e mansueto toro e la rapisce ponendola sul suo dorso. Cavalca l’onda e l’abisso.

La conduce a Creta dove partorisce tre figli ( Minosse, Radamanto e Sarpedonte) ed i doni che riceve da Zeus per la loro nascita sono carichi di simboli.
Lealaps è il cane del paradosso, cattura sempre la preda ma rincorre una volpe che non può essere mai catturata, mi evoca il nostro attuale rincorrere il pro-fugo.

Talos, la statua vivente, il guardiano dalla vista monoculare, guarda da una sola parte, ha una visione ristretta, inoltre è vulnerabile dove pulsa il suo sangue nella caviglia: è indifeso nel fondamento.
La lancia che ferisce è nel contempo risanatrice, può saper risanare le ferite che infligge, difendere e trasformare, non solo attaccare….

L’abisso tra te e me VS tra un Io e un Tu

Superare l’abisso della differenza e della diffidenza permette di uscire dalla anestesia emotiva e ricuperare la progettualità, la capacità di aprirsi al nuovo, al possibile.
La perdita di sensibilità alle emozioni inibisce il processo evolutivo a volte per lungo tempo, induce ad un atteggiamento di rinuncia poiché, non avendo alibi nell’impossibilità di vivere altrimenti, blocca ogni iniziativa in nome di una falsa saggezza, allo scopo inconscio di negarsi il possibile.

E superare il timore di guardare nel proprio di abisso, sia il personale paesaggio della profondità dell’anima sia l’aspetto psicologico di emozioni affioranti.

L’ a-bissos, il senza-fondo, crea perdita e smarrimento nell’Anima che teme d’essere inabissata come la carne di molti, troppi, e tutti coloro che sono sprofondati restano nell’inconscio collettivo dell’Europa, la cui identità si presenta proteiforme, frammentata, direi borderline.

Come oggi nelle persone: non c’è differenza tra l’uno ed il molteplice nella omologazione imperante di desideri e aspettative. E dico “persone” pensando alla Persona, la nostra maschera funzionale per l’adattamento al ruolo sociale, l’interfaccia tra Io e mondo.

Ma se l’Io è assorbito nell’abisso, risucchiato da questo abisso, si espone e si affaccia sull’abisso psichico dalle immagini plesiomorfe. Senza modifiche.
Perde la poliedricità, la ricchezza affettiva ed emotiva, si sperde l’Io e sopravvive nella relazione con il mondo ma senza Anima, imprescindibile connessione con il mondo interno, profondo.

L’Io sa con-sistere nella tensione tra opposte istanze psichiche: il legame covalente di Luce/Ombra, una sorta di doppia coscienza, garantisce trasformazione e divenire

in noi individui soggetti alla storia, costruisce un ”sistema collettivo permanente nel suo costante fluire nel tempo”
L’Io sa con-sistere nella tensione tra opposte istanze psichiche: segue o induce il processo di trasformazione, può scoprire luoghi d’anima per l’anima in cammino, quei genius loci che ne costellano la via.

La complessità della cultura europea si riconosce nei miti e negli archetipi e ci si specchia: non come Narciso in un incantato idem bensì ricercando la propria puer- cultura, la cultura del puer che, nato, si propone al mondo come un avvenire in potenza.

Proponendosi, ama il rinnovamento come colui che si lascia ingravidare dall’idea e la mette al mondo.
La ragione poetica ascolta la voce dell’Anima, obbedisce all’imperativo interno, è la figura simbolica che permette di abitare il livello estetico, non anestetico, del mondo interno e del relazionarsi col mondo esterno.

Ragione poetica come “viscere”, la metafora della Zambrano che capta il sentire irriducibile, primario, dell’uomo nella sua vita, la sua condizione di vivente.
“La storia non è una semplice serie di avvenimenti, ma possiede una sua trama, perché è un dramma; per questo non trascorre nella semplice continuità, ma esistono soglie da attraversare, situazioni limite in cui il conflitto non può durare e il conflitto più minaccioso di tutti è quello che proviene da una società non ancora umanizzata, non ancora pronta perché l’uomo possa perseguire la sua alba interminabile. L’uomo ha sicuramente già visto ed il crimine, i crimini, sono già stati commessi. È dunque arriva l’ora della conoscenza. Il che, qui in Occidente, implica la conversione della storia da tragica in etica.” (Zambrano M. Persona e democrazia, Milano, Bruno Mondadori 2000)

Parole chiave: Europa, mito, archetipo, abisso.

L’abisso tra un Io ed un Tu
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